Recovery Fund: un'occasione di rilancio per l'Unione Europea
Lo scorso 27 Maggio, la
Commissione europea ha presentato al Parlamento europeo un maxi piano da 750
miliardi di euro per rilanciare la ripresa economica del continente.
La distribuzione dei fondi
avverrà principalmente attraverso due canali: uno a fondo perduto (500 mld), e
un altro sotto forma di prestiti che dovranno essere restituiti (250 mld), e
sarà pertanto legato al bilancio Ue 2021-2027 da 1100 miliardi già approvato
dalla Commissione.
La quota di finanziamento più
alta è stata riconosciuta all'Italia, a cui andranno circa 170 mld: 80 mld di
aiuti e 90 mld di prestiti.
Il piano, denominato “Next
Generation Eu “, è stato al centro della riunione dei capi di Stato e di
Governo del 18 e del 19 giugno, da cui è emersa una profonda divergenza tra i
cosiddetti “Paesi frugali“ del Nord, e quelli del Sud:
i primi, capeggiati dai Paesi
Bassi e dall'Austria del cancelliere Kurz, forti del grande beneficio che ricavano
dalla attuale configurazione dell'Ue, sono contrari a ogni forma di elargizione
di denaro a fondo perduto, nonché alla condivisione del debito che i Paesi più
colpiti dall'emergenza economico-sanitaria dovranno inevitabilmente contrarre;
i secondi, costituiscono il
gruppo dei paesi che si affacciano sul mediterraneo (Italia, Spagna,
Portogallo, Grecia), e chiedono a gran voce un'azione combinata tra le
istituzioni europee e gli Stati membri che possa permettere loro di risanare
una situazione economica senza precedenti;
In particolare, i contrasti
tra questi due blocchi riguardano attualmente quattro pilastri: l'entità del
finanziamento; l'equilibrio trasferimenti-prestiti; la chiave di allocazione
dei fondi; il “rebate”, ovvero un meccanismo di correzione che le istituzioni
comunitarie hanno applicato ai Paesi economicamente più “virtuosi”, che hanno
maggiormente contribuito ad arricchire il bilancio europeo.
La capacità di mediazione
della Germania, la quale assumerà la presidenza di turno dell’Ue dal 1 luglio,
sarà fondamentale nel garantire il raggiungimento di un consenso unanime tra
coloro che vogliono un risultato analogo a quello presentato dalla Commissione
europea, e quelli che, invece, come i paesi frugali, propendono per una
revisione dell’impianto della proposta e quindi per la concessione di prestiti
in cambio di riforme strutturali che mirino a garantire una sostenibilità
del debito pubblico.
Da qui la diffidenza nei
confronti di Paesi come l’Italia, i quali, avendo una percentuale del debito
rispetto al Pil molto alta (secondo Goldman Sachs, il rapporto debito-Pil
dell’Italia potrebbe salire al 161% nel 2020), potrebbero non essere più in
grado di ripagarlo con i relativi interessi che ne deriveranno.
Le istituzioni europee sono
chiamate dunque a lavorare ad un negoziato che si prospetta ancora pieno di
incertezze e di contrasti, dalla cui conclusione dipenderanno le sorti
dell’Unione futura.
Quale strada si sceglierà di
percorrere: quella di un’istituzione rigorosa ancora aggrappata agli obsoleti parametri di Maastricht e incapace di dare risposte concrete alle sfide
economiche e sociali che dovrà inevitabilmente affrontare nel prossimo futuro,
oppure un’Europa dei popoli, solidale, integrata, sia a livello economico che
politico, che possa finalmente riaffermare lo spirito europeo tanto sognato dai
padri fondatori e impresso su carta nel “Manifesto di Ventotene”?
Se l’Europa non vuole perdere
questa occasione di rilancio dovrà muoversi in sincronia con le sue istituzioni
di vertice.
Solamente così, infatti, si
potrà costruire un futuro europeo migliore e garantire quella stabilità
economica e sociale che i cittadini europei aspettano da ormai troppo tempo.
G.R.
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