Cina vs Hong Kong: a che punto siamo?


Il 1 luglio, il Consiglio Permanente del Congresso Nazionale del Popolo, l'organo legislativo del Parlamento di Pechino, ha approvato all'unanimità la nuova legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong, la quale prevede la condanna alla detenzione per chiunque sia accusato di sovversione, recessione, terrorismo o collusione con forze straniere.
La promulgazione di questa legge, fortemente criticata a livello internazionale, coincide con il 23esimo anniversario della cessione della sovranità di Hong Kong dal Regno Unito alla Repubblica Popolare Cinese, evento che pose ufficialmente fine ai 156 anni di dominio coloniale britannico.
Essendo finalizzata a reprimere ogni atto considerato come una minaccia alla sicurezza nazionale, la legge consentirà al governo cinese di acquisire più efficacemente il controllo sul territorio.
In sostanza, si annienterà definitivamente il principio “un paese due sistemi” che fino ad ora ha garantito ai cittadini di Hong Kong un ventaglio di diritti civili e politici più ampio rispetto al resto della Cina.
Pertanto, si rischia di minare gravemente l'indipendenza del potere giudiziario, in quanto la norma attribuirà alla chief executive legata a Pechino, il potere di scegliere i giudici che si occuperanno dei casi di sicurezza nazionale.
Inoltre, qualora vi fosse un contrasto tra le leggi, quella di Pechino avrebbe la precedenza su quella di Hong Kong.
La dura contestazione internazionale del provvedimento deriva dal fatto che molti paesi, occidentali e non, considerano la mossa di Pechino come un tentativo di far cessare definitivamente ogni forma di democrazia in una regione che gode di un'autonomia speciale nei confronti della Cina.
Il Giappone, in particolare, ha definito la legge “deplorevole”, mentre la Gran Bretagna, si è detta “profondamente preoccupata” della involuzione democratica che si sta verificando in una regione, quella di Hong Kong, tra le più efficienti in termini di competitività finanziaria, di libertà economica e di qualità della vita.
Una tiepida reazione è, invece, arrivata dall'Unione Europea, la quale si è limitata ad affermare che l’atto perpetrato dal governo cinese costituisce una palese violazione del diritto internazionale.
La reazione più violenta l'hanno avuta gli Stati Uniti, i quali hanno annunciato l'imposizione di nuove sanzioni commerciali se la Cina non cessasse di esercitare il proprio potere politico sulla regione;  
dal canto suo, il governo cinese, ha affermato che prenderà delle contromisure nel caso in cui gli americani dovessero continuare ad interferire nei loro affari interni.
Da un punto di vista interno, il precipitare degli eventi ha spinto esponenti e manifestanti del fronte democratico a cancellarsi dai social media e dalle piattaforme online, poiché l'entrata in vigore della legge comporterà la deliberazione di arresti e persecuzioni per coloro che non intenderanno sottoporsi alla volontà del regime:
Joshua Wong, segretario generale e co-fondatore del movimento pro democratico “Demosisto”, ha commentato su Twitter: “questa sarà la fine di Hong Kong e l'inizio dell'era del terrore”.
In virtù della criticità della situazione, infatti, il movimento ha annunciato il suo scioglimento, dopo aver accettato le dimissioni dei quattro fondatori.
La crisi tra la Repubblica Popolare Cinese ed Hong Kong, dunque, rischia da un lato di aggravare la frattura politica tra Pechino e il resto delle democrazie asiatiche; dall'altro di inasprire ulteriormente le già complicate relazioni tra Xi e Trump, già tese sia in campo tecnologico-militare che in quello politico-sanitario per ciò che riguarda la risposta all’epidemia di Covid-19.
L’Unione Europea potrebbe giocare un ruolo importante in questa crisi e potrà farlo solo se alla Cina arriverà una risposta unanime tra gli Stati membri.
In gioco non c’è soltanto l’indipendenza di una regione tra le più all'avanguardia nel mondo, ma anche e soprattutto la preservazione dei valori e delle libertà democratiche.


G.R.







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