L'Editoriale: Dalla Globalizzazione alla Deglobalizzazione



Per de-globalizzazione si intende quel processo di allentamento dei rapporti internazionali tra i Paesi mondiali: oggi ne sentiamo parlare costantemente in contrapposizione al fenomeno della globalizzazione, il quale invece ha come effetto l’avvicinamento economico, politico e culturale con il fine di portare un miglioramento al tenore di vita.

Sin dalla seconda metà del XX secolo abbiamo assistito ad un’unione economica planetaria senza precedenti grazie allo sviluppo delle tecnologie che ha permesso di abbattere i costi d’informazione e delle comunicazioni. Abbiamo assistito alla creazione di un mercato globale, teatro di uno spostamento di capitali, beni e servizi continuo da un Paese ad un altro grazie all’attenuazione del protezionismo e delle barriere economiche (come i dazi); alla delocalizzazione della produzione, che ha permesso di raggiungere vantaggi economici dislocando le varie funzioni di un’attività produttiva in vari territori in base alla necessità, con la possibilità di creare posti di lavoro anche dove non vi fossero; alla diffusione del pensiero neo-liberista e quindi alla deregolazione dei sistemi economici, con la conseguente cessazione delle politiche conservatrici (si vedano USA e Regno Unito a cavallo tra anni ’70 e ’80). Abbiamo assistito all’intensificazione culturale della globalizzazione, consistente in una condivisione/diffusione di idee, significati e valori appartenenti ad una cultura in tutto il mondo, lasciando spazio alla proliferazione di tratti culturali di un popolo in aree diverse da quella di origine ed alla loro accettazione (si pensi ai fast food, alla diffusione di generi musicali come il jazz, alle mode, fino alle influenze linguistiche che hanno portato all’utilizzo di alcuni termini estranei alla propria lingua madre).

Per ultimo, ma non per questo meno importante, si è verificata un’ondata di globalizzazione politica, volta all’indirizzamento ed all’instaurazione dei rapporti internazionali fra Paesi per garantire un equilibrio socio-politico, per cercare di far fronte ai vari problemi sempre più complessi, da quelli di stampo economico alla protezione ambientale. Effettivamente possiamo constatare che l’integrazione stia andando per i versi desiderati in quanto qualsiasi effetto da essa scaturito, positivo o negativo, si ripercuote a livello internazionale indipendentemente da dove nasce.
Da qualsiasi punto di vista lo si osservi, non è tanto importante il risultato in sé, quanto la garanzia di un suo mantenimento nel tempo, nonostante i numerosi eventi che possono mettere in discussione tale equilibrio. Essi possono essere di carattere economico, come la Grande Depressione del 2008, politico, oppure eventi non attesi, quali atti di terrorismo o fenomeni pandemici, come l’attuale epidemia di SARS-CoV-2, iniziata dalla Cina e diffusasi a livello planetario. In questo scenario si può osservare come nel tentativo di arginare, e combattere tale fenomeno sia necessario operare scelte che mettono in serie difficoltà le economie Nazionali, le quali stanno rallentando, con evidenti effetti sui mercati finanziari e sul commercio globale. Eppure, nonostante siano stati più volte sottolineati gli effetti positivi dell’integrazione internazionale (come ad esempio la riduzione della povertà mondiale), essa è ancora un argomento controverso, che suscita perplessità sulla sua stabilità ed efficacia (è sufficiente pensare alle diseguaglianze che si sarebbero dovute arginare), e questo virus – come qualsiasi altro fattore che avrebbe potuto mettere alla prova tale sistema - sta mettendo in evidenza i limiti di tale integrazione. L’impatto è prevalentemente psicologico, ancor prima che economico e sta mostrando la vera realtà, sovrapponendola a quella fittizia che è andata a crearsi nel periodo di prosperità.

In alcuni casi si sono prese decisioni che, per bloccare l’avanzata di tale fenomeno, fungono da “barriere”: vengono riportate sul proprio territorio le filiere e quelle catene di approvvigionamento che erano state trasferite nei Paesi in via di sviluppo, con effetti evidenti nel medio e lungo periodo, in contrasto con l’idea stessa alla base della globalizzazione. Per tale motivo, numerosi economisti, in particolare Statunitensi, hanno iniziato a parlare di una “lunga pausa della Globalizzazione”.
Se dovesse verificarsi il rallentamento di questo gigante, sarebbe difficile vivere in tale scenario: il rallentamento dei rapporti non permetterebbe di lavorare al meglio nei contesti dinamici a cui ci si è abituati. La carenza di fiducia porterebbe le nazioni a chiudersi, con il rischio di adottare decisioni che vadano ad erodere pian piano tutte quelle libertà che permisero l’intensificarsi dei rapporti internazionali. Sarebbe necessario rivedere radicalmente le politiche di istruzione (ad esempio Erasmus) e le politiche di lavoro e della circolazione in generale in territori extranazionali e, nel peggiore dei casi, la diffusione culturale cesserebbe. Ne risentirebbero indubbiamente anche i mercati, con effetti non pensabili allo stato attuale. Eppure, la storia lo ha dimostrato: fino a che non si è raggiunto un periodo di pace, il progresso non si è potuto avere.

Gli eventi recenti, tra l’altro, avranno indubbie conseguenze sui sistemi di condivisione di conoscenze ed informazioni che si sono andati a costituire nel tempo: le politiche di chiusura andrebbero ad incidere su tutti quei sistemi di crowdsourcing consolidatisi nel mondo come supporto allo sviluppo di idee per il bene comune. Si intensificherebbe il rischio di sperperare i fondi monetari raccolti e destinati allo sviluppo tecnico-scientifico a favore di chiunque ne faccia richiesta (dalle start-up alle imprese alle nazioni stesse), con il pericolo di vanificare le uniche possibilità di dare una soluzione ai problemi che stanno flagellando il nostro pianeta.

Le prospettive fin qui descritte possono essere più o meno verosimili: prendere in considerazione tutti i fattori non è affatto semplice, considerata la loro enorme quantità ed il fatto che l’economia non è una scienza esatta. Nonostante tutto, non bisogna prendere questo potenziale risultato come un fallimento o un passo indietro: esistono altri potenziali scenari riguardo la deglobalizzazione, in cui essa viene identificata come un prolungamento del cammino intrapreso e come un adattamento della globalizzazione al nuovo scenario socio-politico ed economico verso il quale ci stiamo affacciando.

A.P.

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